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LUGANOSei in cerca di un lavoro facile? Non fare il cameriere!

21.06.17 - 07:00
Spesso ritenuti semplicemente dei “portapiatti”, devono invece avere memoria, resistenza, manualità, comprensione delle gerarchie e un’ottima preparazione sugli alimenti. Ecco perché
Sei in cerca di un lavoro facile? Non fare il cameriere!
Spesso ritenuti semplicemente dei “portapiatti”, devono invece avere memoria, resistenza, manualità, comprensione delle gerarchie e un’ottima preparazione sugli alimenti. Ecco perché

LUGANO - Come spesso faccio, vi racconto con una breve storia che cosa c’è dietro il mondo della ristorazione, che gran parte di noi spesso vive solo come cliente. Oggi scopriamo come funziona il mestiere del cameriere e perché credo non sia, se bene affrontata, una professione semplice.

Il servizio della cena è iniziato da qualche minuto. Un buon numero di clienti ha già occupato diversi tavoli della sala e il team – o, seguendo il gergo della ristorazione, la “brigata” – di camerieri è al lavoro per raccogliere e trasmettere gli ordini alla cucina. Una signora, dopo aver visionato il menù del giorno, manifesta allo chef de rang che segue il suo tavolo i propri dubbi riguardo alla possibile presenza di zucchine nella preparazione di un risotto, nei confronti delle quali presenta unʼallergia. Un ragazzo, seduto a un tavolo vicino, informa il proprio cameriere dellʼimpossibilità di assumere cibi che contengano glutine chiedendo fra quali piatti proposti dal menù possa far ricadere la propria scelta. Un altro cliente, poco più in là, chiede delucidazioni su cosa sia il Rib-Eye e quale sia lʼorigine della carne.

Quella della comanda (altrimenti detta ordine), evidentemente, è tuttʼaltro che unʼoperazione meccanica che consista nel chiedere al cliente cosa voglia mangiare, per ricevere una risposta secca e decisa. E dimostra come la figura del cameriere non possa essere ridotta – come vuole una parte non indifferente della credenza comune – a quella di un mero “portapiatti”, quasi che il suo compito fosse esclusivamente quello di servire le portate al tavolo e, al massimo, versare lʼacqua (o il vino) nel bicchiere.

Come avviene in qualunque lavoro, il mestiere del cameriere richiede una fondamentale preparazione, per due ordini di motivi che sʼintrecciano tra loro. Il primo riguarda la conoscenza non solo della composizione dei piatti, ma anche degli ingredienti nei confronti dei quali i clienti possono presentare delle allergie o intolleranze tali da compromettere la propria salute; eventuali incertezze nelle risposte non passano mai inosservate agli ospiti, che, manifestando preoccupazione, possono diventare legittimamente infastiditi e insistenti nelle domande e nella loro volontà di chiedere rassicurazioni dalla cucina.

Una tale situazione, è evidente, non gioverebbe allʼimmagine del cameriere (e, di riflesso, del ristorante presso il quale esercita la propria professione), che agli occhi dei clienti rischia di non apparire dotato di una sufficiente preparazione, anche qualora fosse cortese: quest’ultima, per me, è la condicio sine qua non della ristorazione – bisogna sorridere sempre, siamo su un palcoscenico, essere gentile e provare ad anticipare i bisogni della gente, lasciando comunque loro il giusto spazio – che fa sentire tutti a proprio agio.

In secondo luogo, il contesto nel quale tutti i tipi di attività si trovano oggi ad operare è cambiato sensibilmente, con la diffusione di Internet nelle nostre vite. Non è un caso che la nostra sia stata definita come “società dellʼinformazione”, nella quale, per citare il sociologo Manuel Castells, «lo sviluppo, lʼelaborazione e la trasmissione delle informazioni diventano fonti basilari di produttività». E, aggiungiamo noi, anche lʼaspetto del consumo viene inevitabilmente influenzato da un contesto nel quale le informazioni viaggiano a ritmo di bit: se il cameriere dichiara al cliente che il Rib-Eye viene ricavato dal petto di pollo, suscitando in lui chiare perplessità, è facile aspettarsi che, afferrando il proprio smartphone, questi vada poi sul web a verificare che la carne che ha scelto è in realtà una costata di manzo, finendo con il formulare un giudizio decisamente negativo nei confronti di chi è responsabile del suo tavolo.

È una delle conseguenze pratiche che ha portato con sé il cambiamento avvenuto nelle dinamiche sociali degli ultimi decenni. Nella “società dellʼinformazione” si è venuta a costituire, come ha sottolineato il filosofo francese Pierre Lévy, unʼintelligenza collettiva «distribuita ovunque, continuamente valorizzata, coordinata in tempo reale, che porta a una mobilitazione effettiva delle competenze» e che «ha inizio solo con la cultura e si accresce con essa». Ecco, dunque, che si vengono a creare da una parte unʼenorme opportunità di conoscenza per quello che un tempo era semplicemente il “consumatore”; dallʼaltra, una fondamentale necessità di possesso di informazioni – e una sapiente capacità di trasmetterle – per la figura del “produttore”.

È per questo che, a maggior ragione nel contesto attuale dellʼinformazionalismo, va decisamente superata la visione popolare del “cameriere” ridotta alla figura semplicistica di un operatore il cui unico compito sia solo quello di percorrere il tratto sala-cucina-plonge, per portare e infine sbarazzare i piatti dai tavoli. Semmai, tale è il momento finale di un processo che consiste in diverse fasi, tutte necessarie affinché la brigata si faccia trovare pronta nelle ore calde del servizio. E la prima di queste fasi, naturalmente, è la conoscenza accurata e approfondita di ciò che il cliente si trova a visionare tra le proposte del menù.

Questa rubrica è sponsorizzata dal Ciani Ristorante Lugano.

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